20 marzo 2006

Induzione ipnotica: alcune caratteristiche

Questo post è un estratto, rielaborato in alcuni punti, di un ottimo articolo pubblicato dal Dr. Massimiliano Zisa nel suo blog Ipnositerapia.

Nella prima fase (la fase dell’induzione) si verifica un primo cambiamento dello stato di coscienza. Si possono riscontrare sull’EEG (Elettroencefalogramma) una accentuata presenza delle onde alfa tipiche degli stati di rilassamento e di distacco dalla realtà esterna (si passa cioè dalle onde beta, predominanti durante la veglia e gli stati di vigilanza e allerta, alle onde alfa, più lente). L'alterazione delle proprie vibrazioni cerebrali comporta una rallentamento anche di altre attività (respiro, pulsazioni cardiache) e viceversa.
L’ipnosi però non equivale al sonno, perché una persona addormentata reagisce solo a stimoli intensi e non è in comunicazione con il mondo esterno. L'invito al rilassamento somatico e al sonno funzionano bene perché permettono un distacco graduale dall'ambiente esterno, ma è possibile indurre un'ipnosi anche in altri modi.

Successivamente, con la focalizzazione dell'attenzione all'interno, si manifesta un predominio delle onde theta, ancora più lente, che caratterizzano la trance vera e propria. È da notare che le onde theta si manifestano di solito nel periodo che precede il sogno (fase ipnagogica). Questo stato, che normalmente è vissuto passivamente o fugacemente, nell'ipnosi viene mantenuto per tutta la seduta e utilizzato a fini terapeutici.

A questo livello l'ipnotista, riconoscendo i segnali fisiologici di una trance, passa all'utilizzo di un linguaggio metaforico-allegorico, proprio dell'emisfero destro del cervello, che nel frattempo si è trasformato nell'emisfero dominante. Si possono quindi creare delle "realtà ipnotiche" dove l'individuo, attingendo alle sue risorse profonde e agli "apprendimenti esperienziali", potrà fare nuove esperienze e sviluppare nuove associazioni.

Tra l'altro si è scoperto, tramite la PET, che le realtà prodotte in ipnosi sono virtuali solo sino a un certo punto per il cervello, poiché i soggetti a cui si comandava di pensare di correre su un prato, attivavano i medesimi percorsi neuronali attivi durante una "vera corsa". Noti campioni sportivi che si allenano mentalmente ripetendo ogni movimento e immaginandosi completamente la scena della gara tramite tutti i sistemi sensoriali (questa è la stessa tecnica che permise all'ipnoterapista Milton Erickson di riabilitarsi).

Ci sono vari esperimenti che dimostrano la validità di questo principio: "Uno studio ha guardato agli effetti dell'esercizio mentale opposto a quello fisico nel tendere e rilassare un dito della mano sinistra. Questo piccolo esercizio muscolare venne ripetuto per cinque sessioni alla settimana su di un periodo di quattro settimane - per un totale di venti sessioni d'allenamento. Metà dei partecipanti eseguì fisicamente l'esercizio, mentre un secondo gruppo ne immaginò soltanto l'esecuzione per lo stesso numero di sedute d'allenamento. Al termine delle quattro settimane, la forza del dito di ogni partecipante venne confrontata con quella degli appartenenti ad un gruppo di controllo che non avevano praticato lo stesso allenamento. Per il gruppo che aveva eseguito fisicamente l'esercizio la potenza del dito era aumentata del 30%, mentre il gruppo di controllo fece registrare un incremento di potenza del tutto trascurabile. [...] Ma cosa era successo agli individui che si erano esercitati soltanto nella palestra della mente? - La forza nel loro dito era aumentata del 22%, quasi quanto in seguito all'allenamento fisico! [...] l'incremento osservato nella forza era dovuto unicamente a variazioni a livello cerebrale, le quali a loro volta erano state causate dalla stimolazione del circuito di neuroni interconnessi che controllano i movimenti delle dita. Attivandosi insieme ripetutamente, questi circuiti cerebrali si erano irrobustiti ed espansi, proprio come nel cervello dei violinisti e dei lettori Braille." (Ian H. Robertson, Il cervello plastico, Rizzoli, 1999, pp. 53-54)

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