28 febbraio 2006

L'ipnosi nella pubblicità: Hypnose di Lancome


Ho potuto notare con divertimento che la pubblicità di Hypnose, il nuovo profumo della Lancome, è presente nell'Aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, nelle sale d'attesa subito prima dell'imbarco.
...come aiuto per chi ha paura di volare? :)

Ipnosi e Sindrome dell’Intestino Irritabile (SII)

Abbiamo già parlato dell’ipnosi nella sindrome del colon irritabile (Articolo 1; Articolo 2). Vorrei riportare oggi il testo di un articolo di Mariapaola Salmi su Repubblica (27.02.2006):


"Mal d’intestino
Una sindrome a larga diffusione, sottovalutata e poco curata.
La complessità del "secondo cervello"

Non è vero che l'allungamento del colon è causa di stipsi. Non sempre una dieta povera di fibre è responsabile del problema, anzi qualche volta aumentarne l'assunzione peggiora i sintomi, e non è dimostrata una correlazione diretta tra alvo difficile e introito di liquidi. Gli ormoni sessuali in gravidanza possono solo rallentare il transito intestinale. È improbabile che i lassativi stimolanti, nei dosaggi raccomandati, possano essere dannosi per il colon, inoltre non è vero che essi inducano stipsi dopo sospensione. Le false credenze sulla Sindrome dell'Intestino Irritabile (SII) sono troppe, fare chiarezza è di aiuto ai pazienti.

Accertati, invece, sono la diffusione del disturbo intestinale, ne soffre il 10-15% della
popolazione generale giovane-adulta con punte del 35% in alcune aree geografiche, e una prevalenza da due a tre volte maggiore tra le donne, e i costi che per gli 8 paesi più industrializzati superano i 41 miliardi di dollari l'anno. Un disturbo quello da intestino irritabile (per definizione caratterizzato da dolore e disagio addominale, gonfiore e funzionalità intestinale alterata con costipazione e/o emissioni frequenti) ritenuto all'esordio poco più che una "noia".

"Preoccupa, intanto, che solo il 25% dei malati si rivolge al medico di base o allo specialista", a parlare è Enrico Corazziari, gastroenterologo all'Università "La Sapienza" di Roma, "poi che nel 50% dei casi la sindrome è di natura funzionale, ed infine che il 92% dei pazienti presenta gli stessi sintomi a distanza di 10-13 anni dalla prima diagnosi". Nel tempo i disturbi aumentano, la qualità della vita si riduce e
il malato è costretto a una sorta di isolamento sociale e lavorativo.

Una seria valutazione dei sintomi (con l'ausilio delle più recenti linee guida RomeII) e una precoce diagnosi, invece del frequente "fai-da-te" con diete sbagliate, prodotti di erboristeria, lassativi non idonei o stoica sopportazione, potrebbero evitare la cronicizzazione del problema che alla lunga può comportare lesioni del pavimento intestinale, e innumerevoli quanto inutili interventi chirurgici. Il segreto per arrivare alla soluzione è instaurare un rapporto di estrema fiducia e confidenza col medico curante e "capire" il proprio intestino. "Considerato a ragione il "secondo" cervello del nostro organismo", spiega Peter J. Whorwell, gastroenterologo all'ospedale universitario di South Manchester, "l'intestino da un lato controlla la sua
motilità e sensibilità grazie al sofisticato plesso mioenterico che lo avvolge, dall'altro produce enormi quantità di serotonina, neurotrasmettitore
sintetizzato anche dai neuroni, le cellule del sistema nervoso, che ha molto a che fare con il tono dell'umore
. Proprio uno squilibrio dell'asse sistema nervoso centrale-sistema nervoso intestinale indurrebbe un'alterata produzione di serotonina con le conseguenze che sappiamo".

Ipnosi, attività di rilassamento, 5HT4 agonisti della serotonina (stipsi) e 5HT3 antagonisti della serotonina (diarrea), antispastici, fibre, procinetici come il tegoserod, non ancora registrato in Italia, antidepressivi e probiotici, anche questi ancora non registrati da noi, possono risolvere il disturbo insieme a qualche etto di fiducia in più verso se stessi."

Fonte: Repubblica

19 febbraio 2006

Decisioni complesse: fidati del tuo inconscio. La ricerca conferma le tesi di Milton H. Erickson

Fare la scelta giusta: l’effetto della deliberazione senza attenzione. La ricerca scientifica conferma le intuizioni di Milton H. Erickson.

“Fidati del tuo inconscio (Trust your own unconscious)”, consigliava Milton H. Erickson ai suoi pazienti e ai suoi allievi. “L’ipnosi profonda è lo stato in cui il tuo funzionamento inconscio non è disturbato dalla mente cosciente”. “L’inconscio non è solo la sede del conflitto e dei complessi, è anche la fonte delle tue risorse”. Sono concetti chiari nel modello dell’ipnosi ericksoniana. Ebbene, ricerche scientifiche recenti sul pensiero (in)conscio durante decisioni complesse mostrano che Erickson aveva ragione. E che la convinzione comune che il pensiero cosciente conduca alle migliori decisioni è sbagliata. Di più, secondo tali studi sono specialmente le decisioni complesse che andrebbero prese attraverso il pensiero inconscio.
Lo annunciano sulla rivista “Science” Ap Dijksterhuis e colleghi dell’Università di Amsterdam, che hanno reclutato 80 persone per una serie di test decisionali in grado valutare quanto sia funzionale una decisione basata sulle facoltà coscienti piuttosto che su quelle inconsce.
I soggetti dello studio avevano a disposizione alcune informazioni e dovevano prendere decisioni circa l’acquisto di oggetti banali come uno shampoo oppure più impegnativi come quello di un’auto. La coorte era però divisa in due gruppi: al primo veniva chiesto semplicemente di scegliere tra diversi prodotti solo in base alle informazioni disponibili; all’altro, di prendere visione delle informazioni riguardo ai prodotti e infine di prendere rapidamente una decisione sull’acquisto, ma solo dopo aver risolto alcuni rompicapo e giochi logici, in modo da tenere occupate le facoltà cognitive e da riuscire a “cogliere di sorpresa” la parte più inconscia della mente.
“Ciò che abbiamo trovato – ha spiegato Dijksterhuis – è che quando la scelta era in qualche modo semplice, come l’acquisto di un paio di guanti o di uno shampoo, le persone effettuavano scelte migliori, ovvero rimanevano soddisfatte nel seguito, se si approcciavano all’informazione in modo cosciente. Nel caso invece di decisioni più complesse, come nell’acquisto di una casa, il ‘pensare troppo’ portava i soggetti a fare la scelta sbagliata. Se invece si teneva occupata la mente nella soluzione di rompicapi, la parte inconscia era in grado di considerare tutte le informazioni e di arrivare infine a decisioni complessivamente più ponderate.”

Fonte: On Making the Right Choice: The Deliberation-Without-Attention Effect, Ap Dijksterhuis & coll.; Department of Psychology, University of Amsterdam (Science 17 February 2006)

15 febbraio 2006

Stress, Psicoterapia e Patologie cardiache: Aritmie

Si sa che lo stress psicologico aumenta la probabilità di eventi aritmici ventricolari. Tuttavia non era mai stato dimostrato che un intervento di gestione dello stress potesse diminuire l’instabilità elettrica ventricolare in pazienti con defibrillatori impiantabili cardioverter (ICD: implantable cardioverter-defibrillator).
Secondo uno studio recente, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, diminuendo l’ansia e migliorando la condizione della bilancia simpatovagale, può abbassare la probabilità di aritmie in pazienti ICD.

Fonte: American Heart Journal - Prevention of Implantable Defibrillator Shocks By Cognitive Behavioral Therapy: A Pilot Trial

09 febbraio 2006

Smettere di fumare: cambiamento graduale o improvviso?

L'idea prevalente nello smettere di fumare prevede che il fumatore prepari i propri tentativi di smettere di fumare in anticipo; si ritiene che, così facendo, aumentino le probabilità di successo.

Una ricerca condotta in Inghilterra su 918 fumatori che hanno fatto almeno un tentativo di smettere di fumare e su 996 ex-fumatori, da 16 anni in su, mostra che il 48,6% dei fumatori riporta che il più recente tentativo di smettere di fumare è stato messo in atto immediatamente dopo che la decisione era stata presa; che i tentativi non-programmati di smettere di fumare avevano una probabilità maggiore di successo per almeno 6 mesi (fra coloro che aveva fatto un tentativo tra 6 mesi e 5 anni prima, le probabilità di successo erano 2.6 volte maggiori nei tentativi non-programmati rispetto a quelli programmati; nei tentativi di smettere fatti 6-12 mesi prima, la probabilità era 2.5 volte maggiore); tali differenze sono rimaste invariate indipendentemente dall’età, dal sesso e dalle differenze socioeconomiche.

La ricerca propone un modello di cambiamento secondo il quale i fumatori hanno differenti livelli di tensione motivazionale da fermare e diversi “interruttori” (triggers) ambientali che attivano gli stati motivazionali. Se un “interruttore” riguarda la rinuncia immediata alle sigarette, ciò può essere l’indizio di un cambiamento più maturo rispetto ai tentativi di progettare un piano per smettere di fumare in un determinato, prossimo futuro.

Fonte: "Catastrophic" pathways to smoking cessation: findings from national survey
Robert West, Taj Sohal, University College London

08 febbraio 2006

Sete e Dolore: interazione e plasticità

La sensazione di sete facilita l'insorgenza della reazione dolorosa gli stimoli esterni. Lo rivela uno studio pubblicato dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

“Questa è l’ennesima dimostrazione della plasticità dei meccanismi di espressione del dolore”, spiega Michael Farrell dell’Howard Florey Institute di Melbourne. “In questo caso particolare, una lieve perturbazione dei livelli di elettroliti, cioè ciò che fondamentalmente dà inizio alla sensazione di sete, è abbastanza per modificare intensità e modalità di espressione del dolore”.

Farrell ed il suo team hanno studiato la relazione tra sete e dolore in 10 pazienti. Ai partecipanti allo studio è stata applicata una leggera pressione ai pollici per indurre una lieve sensazione di dolore e sono state somministrate iniezioni saline per simulare la sete. Analizzando il flusso sanguigno cerebrale durante l’esperimento tramite PET (tomografia ad emissione di positroni) si è osservato che negli individui più assetati la sensazione dolorosa risultava più intensa. La sensazione di sete, invece, non risultava alterata dalla sensazione dolorosa.

La sete aveva causato l’attivazione della corteccia cingolata anteriore (area 32 di Brodmann) e dell’insula. L’aumentata risposta al dolore era associata sia all’aumento dell’attività nelle regioni corticali che sono correlate all’intesità del dolore che ad una attivazione specifica nel cingolato anteriore pregenuale e nella corteccia orbitofrontale ventrale, due regioni cerebrali che non vengono attivate dai due input (sete e dolore) singolarmente ma da entrambi (ciò suggerisce che in tali aree svolgano una funzione integrativa).

Questi studi suggeriscono che la corteccia limbica e la corteccia prefrontale giocano un ruolo nella modulazione del dolore durante l’esperienza della sete. Farrell ha avanzato l’ipotesi che ci possano essere circuiti cerebrali che permettono ad una sensazione di modulare l’altra, una strategia importante dal punto di vista evolutivo. Fame, sete, stanchezza e dolore ad esempio non si manifestano contemporaneamente, e questo ci permette di stabilire delle priorità: “La sensazione con le più immediate implicazioni per la sopravvivenza viene messa in evidenza”, spiega il ricercatore australiano.

Fonte: Farrell MJ, Egan GF, Zamarripa F et al. Unique, common, and interacting cortical correlates of thirst and pain. PNAS 2006

07 febbraio 2006

Ipnoterapia: l’approccio di Manchester al trattamento della sindrome del colon irritabile

Un approccio particolare all’ipnosi come aggiunta al trattamento della sindrome del colon irritabile, sviluppato nel Dipartimento di Medicina dell’Ospedale Universitario di South Manchester, Gran Bretagna, a partire dagli anni '80.
I pazienti partecipano fino a 12 sedute in un arco di tempo di 3 mesi e nella maggior parte dei casi ottengono un miglioramento dei sintomi e delle qualità della vita. L’effetto di solito è duraturo nel tempo.
La terapia è focalizzata sull’intestino e ha lo scopo di insegnare ai pazienti le abilità ipnotiche necessarie a controllare le funzioni intestinali e ridurre i sintomi, utilizzando tecniche specifiche quali la “mano calda sull’addome” unita l’immaginazione in ipnosi. Altri interventi basati sul particolare stile di vita e sui fattori psicologici che comunemente influenzano i sintomi sono inclusi nella terapia in modo appropriato al singolo paziente in trattamento.

Fonte: International Journal of Clinical and Experimental Hypnosis: IJCEH.

04 febbraio 2006

Interazioni fra dolore e emozioni nelle sottoregioni del giro del cingolo e il ruolo dell’analgesia ipnotica

Dolore Emozioni Ipnosi (analgesia ipnotica)

Il dolore acuto e le emozioni sono elaborati in due reti nella parte anteriore del cervello e la corteccia cingolata è coinvolta in entrambe.
Il giro del cingolo è coinvolto nell’elaborazione del dolore e delle emozioni. Nonostante Brodmann abbia identificato due regioni del giro del cingolo senza potersi basare su un criterio funzionale, gli studi di functional imaging usano ancora tale divisione in due parti come modello. Tuttavia, recenti studi citoarchitettonici mostrano che il giro del cingolo è formato da quattro regioni, con rispettive sottoregioni, ognuna delle quali contribuisce in modo distinto alle funzioni del cervello.
Il dolore viene diviso solitamente in due aspetti: sensoriale-discriminativo (percettivo) e affettivo-motivazionale (emozione).
Gli studi di imaging funzionale dell’attività cerebrale, basati sul modello a 4 regioni del giro del cingolo, mostrano che le interazioni fra dolore e emozioni sono più complesse di quanto ritenuto precedentemente. Nello studio, inoltre, viene esplicitamente affermato che l’analgesia ipnotica (ipnoanalgesia) è un fenomeno che coinvolge le sottoregioni del giro del cingolo che possono essere utilizzate per un intervento terapeutico.

Fonte: Nature Reviews Neuroscience 6, 533-544 (2005); doi:10.1038/nrn1704
(PAIN AND EMOTION INTERACTIONS IN SUBREGIONS OF THE CINGULATE GYRUS, Brent A. Vogt )

03 febbraio 2006

Meditazione, Attenzione e fisiologia del cervello

E’ oggi convinzione di molti scienziati della mente che le pratiche millenarie di meditazione e di concentrazione elaborate dalle sapienze orientali possano incidere realmente sulla fisiologia del cervello umano e sul suo funzionamento in diversi stati di coscienza, permettendo di esplorarne inedite potenzialità. Si apre così un campo di ricerca di grande fascino e suggestione per la comprensione di pratiche per molto tempo accantonate. In questa grande riscoperta delle potenzialità del cervello si inseriscono anche gli studi sull’ipnosi.

Richard Davidson, dell’Università del Wisconsin ha studiato i monaci tibetani, che trascorrono diverse ore in meditazione ogni giorno. I monaci tibetani onorano l’autocontrollo della mente e raccontano di provare meno collera, paura o dolore di chi non pratica la meditazione e di sostituire i sentimenti negativi con una sorta di partecipazione compassionevole. Persino in situazioni in cui una persona qualunque avrebbe paura di morire, i monaci tibetani possono mostrare un autocontrollo notevole.
Davidson ha tracciato l’elettroencefalogramma di otto monaci con una lunga pratica di meditazione alle spalle (10000-50000 ore) mentre erano immersi nei loro esercizi e li ha confrontati con l’elettroencefalogramma di un gruppo di volontari inesperti ai quali era stata impartita una settimana di addestramento alla meditazione.
I risultati hanno mostrato che i monaci hanno incrementato le onde gamma del cervello (frequenze dai 25 ai 42 hertz, sono le onde che compaiono negli stati di maggiore attenzione) da due a tre volte rispetto al livello di riposo, cosa che i volontari inesperti non sono riusciti a fare (solo due hanno mostrato una leggera capacità di aumentare le onde gamma).
L’aumento delle onde gamma ottenuto dai monaci era più forte in due regioni dei lobi frontali del cervello coinvolte nel controllo delle emozioni. Secondo Davidson, inoltre, le onde gamma dei monaci erano tra le più intense che siano mai state descritte in letteratura scientifica in soggetti non patologici.
Questi risultati mostrano che l’allenamento mentale alla coordinazione dell’attenzione produce risultati oggettivi e misurabili.

Lutz A, Greischar LL, Rawlings NB, Ricard M, Davidson RJ. (2004) Long-term meditators self-induce high-amplitude gamma synchrony during mental practice. Proceedings of the National Academy of Sciences. 101:16369-73